L'articolo pubblicato venerdì 5 giugno 2015 da "La Gazzetta del Mezzogiorno" e riletto in occasione della cerimonia di intitolazione della panchina arancione
Dalla radio la notizia giunge come tante altre e, seppur tragica, appare tristemente simile ai tanti, troppi casi di femminicidio che feriscono la nostra società senza neanche riuscire più a suscitare il giusto clamore. Eppure quel cognome, Colucci, ti risulta familiare, legato alla tua terra, alle tue origini. Nel corso della giornata al suo nome, Loredana, viene associata anche la tua cittadina, Castellana Grotte, e scopri che la donna ha proprio la tua stessa età. Una rapida ricerca e la triste conferma: Loredana, sì proprio lei, è la tua compagna di classe delle elementari. Scavi nei ricordi e ritrovi quella bella bimba dai capelli e gli occhi chiari fin troppo schiva, riservata, poco incline alla chiassosità tipica dei bambini. Inevitabile è la telefonata all'amico di classe con cui hai ancora rapporti per confrontare i ricordi e condividere un'amara emozione. Proprio in quel momento realizzi infatti che quella terribile violenza ha fatto irruzione nella tua infanzia sporcando i ricordi più sereni, quelli registrati con gli occhi da bambino, gli occhi che ogni adulto dovrebbe ogni tanto riscoprire. Occhi però incapaci di leggere nella timidezza di Loredana tutte le sue difficoltà di un'infanzia non semplice, da bambina immersa in una condizione familiare complicata dal conflitto fra i genitori separati, dalla grande dedizione materna al lavoro e al mantenimento dei suoi due figli senza un marito e senza un padre in grado di assolvere ai suoi compiti. Una “sfortuna” che, nonostante il coraggio di cui sono capaci solo le donne, ha continuato ad accompagnare la troppo breve esistenza di Loredana, quella tua compagna di classe a cui avresti dovuto dedicare più attenzione e sorrisi e che avrebbe meritato una vita più serena.
Emanuele Caputo